L’udienza di oggi è proseguita con la deposizione del pentito Stefano Lo Verso, che curò l’ultimo periodo della latitanza di Bernardo Provenzano. “Io non ho paura della mafia. Sono un uomo libero finalmente. Giro in bicicletta senza protezione per il mio paese e rivolgo un appello a tutti i mafiosi: bisogna collaborare con i magistrati” ha detto il collaboratore di giustizia.“Se potessi ritornare indietro non rifarei questa vita. In questa vita c’è solo sofferenza. Le stragi sono state la rovina. I giudici sono stati uccisi perché hanno toccato la radice e Falcone era stato avvertito. A volere le stragi, furono anche Andreotti, Lima e Ciancimino“. Il collaboratore di giustizia, ex boss di Ficarazzi, ha poi raccontato alla corte presieduta da Antonio Balsamo. “Fu agli inizi del 2003 che conobbi Provenzano era sempre con Onofrio Monreale che lo accompagnava in una casa che avevo trovato io dove si svolgevano delle riunioni. Gli incontri erano frequenti. Prima di conoscerlo, il compito di smistare i suoi pizzini era stato dato a me. Solo dopo un po’ di tempo scoprì che i pizzini erano suoi”. Durante la sua detenzione nel carcere di Spoleto Lo Verso ha conosciuto il boss di Santa Maria di Gesù Cosimo Vernengo, condannato per la strage di via d’Amelio dal falso pentito Vincenzo Scarantino. “Diceva che Scarantino gli aveva rovinato la vita. Era depresso, non usciva dalla cella, temevamo per la sua vita”. Spiegando poi i motivi che l’hanno portato a collaborare con la magistratura, Lo Verso ha poi dichiarato: “Il Signore ha cambiato il mio cuore. Ho voluto scontare tutta la mia pena. Per tagliare con Cosa nostra bisogna collaborare i magistrati. Ora che parlo mi sento un uomo libero. Non ho più paura della mafia”.
Un passaggio importante della deposizione del collaboratore di giustizia è stato quello sulla latitanza di Bernardo Provenzano. “Non aveva alcuna paura di essere arrestato. Mi disse che in realtà non lo cercava nessuno perché a proteggerlo era un potente dell’Arma e aggiunse: meglio uno sbirro amico che un amico sbirro’”. Provenzano, secondo Lo Verso, sarebbe stato nascosto per mesi nella casa della suocera del boss di Ficarazzi. Sempre Provenzano, avrebbe detto a Lo Verso che anche se avevano arrestato Michele Aiello, imprenditore considerato suo prestanome, lui era garantito direttamente dall’allora governatore Salvatore Cuffaro, oggi detenuto nel carcere di Rebibbia dove sta scontando sette anni di pena per favoreggiamento a Cosa Nostra.
di Patrizio Maggio