Articolo di Monica Panzica su LiveSicilia
Sul nuovo numero di “S” dedica ampio spazio alla retata che ha decapitato la cosca della cittadina alle porte di Palermo.
Uno di loro si tolse la vita dopo avere denunciato i suoi estoprsori. Un altro negò invece le richieste, poi scelse di ribellarsi. In entrambi i casi la loro vita era stata sconvolta. “Ti finisce male se non paghi, lo sai”, era stato detto loro spesso. I boss glielo urlavano ogni volta che i soldi tardavano ad arrivare. Le vittime venivano pedinate, inseguite per strada: la famiglia di Bagheria mandava i propri uomini a riscuotere, minacciare, “avvisare”. E dopo l’avviso arrivava l’intimidazione, dal furto dell’auto all’incendio. Fino al sequestro di persona.
Un imprenditore edile bagherese fu ridotto sul lastrico dalle estorsioni e dalle imposizioni di Cosa nostra sulle assegnazioni dei lavori. I furti e le minacce avevano fatto il resto: il costruttore non aveva più soldi e tardava nei pagamenti. Dopo tanti anni di soprusi decise di denunciare i suoi aguzzini. Una scelta coraggiosa alla quale ne seguì una estrema. Diciotto mesi dopo, infatti, si tolse la vita. Cosa nostra aveva praticamente preso il suo posto nelle scelte aziendali per favorire i propri interessi e fare finire tutti i soldi dei lavori nelle proprie casse. Il classico meccanismo mafioso che inquina l’economia aveva distrutto l’azienda. L’imprenditore era stato preso di mira per i cantieri che gestiva a Ficarazzi, Villabate e Santa Flavia: a mettere in atto l’estorsione nei suoi confronti sarebbe stato Pietro Giuseppe Flamia, detto “il porco” e cugino di Sergio Rosario, oggi collaboratore di giustizia. “Mi disse – mise a verbale l’imprenditore che denunciò tutto ai carabinieri – che da quel momento in poi c’erano nuove regole, nuove disposizioni e per qualunque lavoro da ora in avanti dovevo prima parlare con lui. Mi specificò che mi avrebbe dato indicazioni sui fornitori e su tutte le ditte che avrei dovuto contattare per fare svolgere i lavori”. Prima di aggiudicarsi un importante appalto, un altro imprenditore fu chiamato dall’ufficio tecnico: “Gli amici avrebbero avuto il piacere dell’aggiudicazione dell’appalto alla mia ditta”. E così fu: l’azienda si occupò dei lavori. Subito dopo cominciarono le richieste di assunzioni di parenti e amici dei mafiosi. E soprattutto iniziarono le richieste di soldi. Un’altra storia chiama invece in causa Nicolò Eucaliptus:“Eucaliptus – ha raccontato l’imprenditore – mi obbligò ad immettere liquidità nel Bagheria calcio, ripianando i debiti ed investendo danaro da lui gestito, per un totale di circa quattrocento milioni di vecchie lire”. Poi arrivarono i suoi successori con nuove richieste. E l’imprenditore fu costretto a vendere una villa di sua proprieta’.