Dalle prime luci dell’alba, la Polizia di Stato, con l’operazione “Icaro”, sta assestando un duro colpo a “Cosa Nostra” agrigentina. Le Squadre Mobili di Palermo e di Agrigento, in una operazione congiunta,hanno dato esecuzione ad un provvedimento cautelare, emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Palermo, dott. Giangaspare CAMERINI su richiesta dei Pubblici Ministeri Maurizio SCALIA, Rita FULANTELLI e Emanuele RAVAGLIOLI, della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 13 soggetti, tra cui gli esponenti di vertice delle famiglie mafiose di Agrigento e Porto Empedocle, ritenuti responsabili dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, illegale detenzione di armi, detenzione di sostanze stupefacenti.
Con l’operazione “Icaro”, gli investigatori hanno verificato come non si sia mai interrotto lo storico sodalizio tra “Cosa Nostra” palermitana ed agrigentina, così come dimostrato dai documentati summit andati in scena nelle campagne agrigentine tra ruderi ed appezzamenti di terreno. Le indagini hanno investito il capoluogo agrigentino e la zona occidentale di Agrigento, permettendo di ricostruire la pianta organica dell’associazione mafiosa “Cosa Nostra” in quel territorio ed, in particolare, di raccogliere numerosi elementi indiziari a carico del capo famiglia della cosca di Agrigento, IACONO Antonino, agrigentino, cl. 1954 e del capo famiglia della cosca di Porto Empedocle, MESSINA Francesco, nato a Porto Empedocle, cl.1957. Questi ultimi, in particolare, operavano con metodo mafioso ed estorsivo per condizionare l’attività di ristrutturazione del rigassificatore di Porto Empodecle. Dalle risultanze investigative, oltre alla supremazia dei due “capifamiglia”, sono emersi i ruoli di spicco di numerosi soggetti organici all’associazione, quali PICCILLO Giuseppe, uomo di fiducia di IACONO, delegato all’organizzazione di incontri con esponenti mafiosi di altre famiglie locali e per conto del quale si è reso responsabile di più azioni intimidatorie, finalizzate ad estorcere il pizzo a numerose imprese locali attive nel settore del “calcestruzzo”; CAPIZZI Francesco e TARANTINO Francesco, organici alla famiglia mafiosa di “Porto Empedocle” e soggetti di fiducia di MESSINA Francesco, per conto del quale si sono resi responsabili di azioni estorsive in pregiudizio di imprese edili operanti in quel centro. Questi avrebbero tentato di conidzionare il trasporto da e per l’isola di Lampedusa, nonché l’attività di ristrutturazione di alloggi popolari a Porto Empedocle.
Tra gli arrestati anche CIMINO Gioacchino, agrigentino, cl.1954, ritenuto organico alla famiglia di Porto Empedocle.