da Palermo Today
C’era il rombo delle moto, quelle che lui tanto amava, a salutarlo per l’ultima volta. Un burnout, rumoroso e rispettoso, per stringersi intorno ad Agostino Leone, il 35enne anni morto domenica scorsa in un incidente stradale a Roma, sul grande raccordo anulare in direzione Fiumicino, mentre viaggiava in sella alla sua Harley Davidson. Una scorta speciale per lui, tanto amato nella sua città natale quanto in quella adottiva, Roma, dove viveva da un anno. Un abbraccio simbolico di decine di motociclette che da casa – in via Messina Marine – lo hanno accompagnato a Villabate, dove si sono celebrati i funerali.
Ad accoglierlo nella Chiesa di San Giuseppe c’erano amici, parenti ma anche semplici conoscenti, venuti da tutta Italia. Almeno trecento persone all’interno e altrettante all’esterno. E poi c’erano loro, gli Harleysti, che, dopo la cerimonia, lo hanno scortato fino al cimitero, sempre a Villabate. Alla testa del corteo, con la sua Harley rossa, il fratello maggiore Giuseppe. Agostino era il più piccolo di quattro figli, due fratelli e due sorelle, entrambe sposate. A Roma, invece, stava da poco con una ragazza.
“Casa mia era casa sua – racconta a PalermoToday Ernesto, un amico di famiglia, cresciuto con Agostino – siamo sempre stati uniti. Aveva due grandi passioni, quella per le moto e per la cucina, che in qualche modo gli ha trasmesso il fratello maggiore e che lui ha portato avanti prima a Palermo, alla trattoria Biondo, che è stato il luogo in cui ha cominciato, e poi a Roma”.
Nella capitale mesi fa aveva trovato lavoro come chef in un ristorante, Casa Coppelle, ma poche settimane fa aveva avuto un colloquio di lavoro con Heinz Beck di Dubai. Agostino era stato preso ed era pronto a partire. “Ultimamente ci eravamo sentiti molto più spesso – continua Ernesto – perché io l’ho aiutato a tradurre delle lettere, gli ho fatto recapitare dei documenti. Aspettava solo il passaporto per cominciare a lavorare al Waldorf Astoria Hilton”.
A Dubai avrebbe preso servizio poco prima di Natale. Prima, però, sarebbe tornato qualche giorno a casa, per salutare i suoi cari e la città natale. Quella terribile alba in moto, però, gli è stata fatale. “Eravamo amici – conclude Ernesto – ma può anche dire che eravamo fratelli. Lo eravamo davvero”.