lavoravano la terra. Una di queste, edificata sul finire del XV secolo nella contrada allora detta “Carvana”,dal nome di una pianta che vi cresceva rigogliosa e spontanea, apparteneva alla famiglia Aloe. Dopo varie vicende, la proprietà della masseria Carvana passò ai Francescani del Convento di San Francesco D’Assisi di Palermo. Successivamente la masseria seguì il destino delle altre e quando, nel seicento, la coltura della canna da zucchero subì una battuta d’arresto, le terre furono adibite a vigneto. Nel 1753 i Francescani la concessero in enfiteusi ad un certo Giacomo Bontade che, nel 1744, si dichiarò debitore della somma di 72 onze per censi non pagati. Nella sua dichiarazione si fa riferimento ad “un casaleno con torre e chiesa sdirubati”. I Francescani intervennero nuovamente, con la propria diretta amministrazione, ricorrendo all’impiego di manodopera locale per coltivare le loro 30.000 viti. Più tardi la masseria fu concessa in enfiteusi ai Moncada di Paternò e da essi passò in eredità alla famiglia Valguarnera che adibì la Chiesetta a vari usi profani. Nel 1950 la Principessa Caterina Valguarnera, vedova Paternò Moncada, donò la Chiesa alla Parrocchia Sant’Atanasio. Era parroco pro-tempore don Giuseppe Germanà. La Chiesa era cadente e sprovvista di ogni cosa.
A provvedere al restauro e all’arredo si era impegnata la Chiesa Madre che, in caso di cessato culto, avrebbe dovuto restituire la proprietà della struttura agli eredi Valguarnera. Ultimati i lavori di restauro, la Chiesa fu benedetta e riaperta al culto dal Cardinale Ernesto Ruffini, nel 1953. Recentemente, la proprietà della masseria passò alla famiglia Scaduto che la cedette per realizzare nella zona un moderno complesso residenziale. Demolita la vecchia torre, la Chiesa è stata ridipinta sia all’esterno che all’interno, dove sono intervenuti, con degli affreschi, il pittore bagherese Filippo Maggiore ed altri due bagheresi, Mulè e Di Gaetano.
Il luogo di culto resta come unica testimonianza del passato nella zona che, negli ultimi due secoli, era stata destinata alla coltivazione di agrumi ed ortaggi. Alle esigenze abitative è stato infatti sacrificato anche il famoso e secolare albero di gelso, alla cui ombra si rifugiavano molti giovani e, negli anni 60, persino la componente politica prima di passare alle decisioni ufficiali dell’aula consiliare.
Foto e testa tratti da documenti di Michele Manna (www.ficarazzi.it)